Valentina Alvarez, la chef che cuoce i cibi in 16 modi diversi con il forno della bisnonna
Fra i protagonisti della scena gastronomica latinoamericana è entrato un volto nuovo: quello di Valentina Alvarez, chef ecuadoriana del Cocosolo di Pedernales e docente presso la Escuela Iche di San Vicente, che lavora a un’archeologia del futuro, che traghetti nel presente le esperienze ancestrali. Valentina ha le idee chiare sull’innovazione, che nella sua visione non deve essere funzionale all’alta cucina, ma al miglioramento della vita delle persone nel loro territorio. Ed è il patrimonio delle tradizioni a ispirarla: vedi il recupero dell’antico forno manabita, tipico della provincia di Manì, sistema di fuochi originariamente situati sotto terra, che attraverso il gioco di fiamme, ceneri e braci consente di realizzare sedici tecniche di cottura diverse.
Secondo gli archeologi esiste da 3500 anni, seppur con qualche variazione. Per esempio, sono scomparse le pietre vulcaniche e per via dell’influenza europea si è alzato da terra, cosicché ora si cucina in posizione eretta. “In pratica è una stufa formata da una cassa di legno piena di argilla o creta, in cui sono interrati vasi di ceramica preparati dalle donne della zona. Sopra c’è una cappa di cenere, che via via si accumula e forma uno strato. Si può utilizzare come forno convenzionale, braciere, graticola, per riscaldare, stufare, affumicare… Posso appendere una corda nella parte superiore con salsicce, salumi e pezzi di carne in modo da affumicarli e conservarli”.
Le donne di campagna hanno sempre operato in chiave di efficienza energetica e sostenibilità ante litteram: una volta scelta la legna idonea, non resinosa, sfruttavano insieme tutti i fuochi, cominciando dalla preparazione delle colazioni e delle tortillas, per poi proseguire con brodi, minestre e fagioli per merenda; la notte poi, a fuochi spenti, era il momento delle lunghe stufature con le pentole tappate o dell’affumicatura dei semi. “Sono cresciuta con la mia bisnonna e in casa sua c’è sempre stato un forno manabita. Non cucinava mai in altri modi. Aveva novantadue anni e continuava a usarlo, anche solo per se stessa. È nato così l’attaccamento a questo spazio, la nostalgia, i ricordi. Di fatto mi tornano in mente i sapori, che fanno di me una cuoca che cucina per l’altro, come mia nonna. Viveva da sola e cuoceva enorme torte di platano alle arachidi nel forno, per eventuali visitatori. Nel suo forno aveva sempre tortine pronte per accompagnare una tazza di caffè. La sua speranza era che qualcuno passasse per brindare”.
“Questo è stato il mio primo contatto. Poi mia mamma, che è sempre stata un’ottima cuoca, dedicava le giornate a cucinare per mio padre, uomo capricciosissimo e buona forchetta, in modo da renderlo felice. Quando è venuta la crisi, lui ha perso il lavoro, non poteva mantenere la famiglia e con mia madre abbiamo iniziato a preparare pasti nel forno della bisnonna. Davo una mano, ma uscivo anche a vendere. Ed è nata l’idea della cucina come fonte di reddito.
Quando poi mi sono sposata, la famiglia di mio marito aveva un ristorante chiamato Cocosolo, con oltre quarant’anni di storia. Quindi sono passata in cucina, per imparare dal mio suocero argentino e da mia suocera, che fa la cucina manabita dei ricchi. Perché ci sono due branche: quella rurale e quella delle classi benestanti, più francesizzante. Con gli anni abbiamo installato un forno manabita. Ma non esiste un libro su come maneggiarlo, non ci sono timer o termostato. È tutta una questione di pratica sensoriale, trasmessa oralmente dalle nonne”.
L’affumicato, per esempio, è meno aggressivo e più soave del consueto. Ma le temperature possono essere molto diverse secondo il punto esatto della stufa. I pani si cucinano sulla parete, tipo tandoori, e per testarne il calore si getta una foglia di mais. Valentina non si limita ad aver rimesso in funzione lo strumento di cottura nel suo lavoro quotidiano: nella scuola in cui è docente ne insegna l’uso agli aspiranti cuochi, ma sta anche ultimando la stesura di un libro chiamato Manabì, che per la prima volta codifica tecniche e ricette. Dopo aver partecipato alla realizzazione di un documentario, promuoverà anche un censimento che dovrebbe sfociare nel riconoscimento del forno quale patrimonio culturale del paese.
Fonte: Siete Canibales
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