Madrid Fusión 2023. I temi più importanti del congresso
Esplorare i limiti: con questo obiettivo si sono dipanate, ponencia dopo ponencia, le tre giornate di Madrid Fusión 2023. Quest’anno declinate sul tema: Sin Límites-No Limits. Con la voglia di varcare confini, superare barriere e ostacoli in direzioni diverse, mescolare stili, prodotti, riflessioni e ispirazioni, guardare al futuro e frugare nel passato remoto, riconquistare pratiche arcaiche e costruire nuovi processi tecnici, senza complessi ma con il genuino entusiasmo che da questa parte del mondo si respira in cucina, in una Spagna in cui la ristorazione viene presa molto sul serio ma sempre con nessuna – o quasi – prosopopea. L’edizione numero 21, riconquistato il suo posto consueto nel calendario, ha segnato oltre 21mila visitatori (25% in più rispetto al 2022), più partecipanti al congresso (1.771, più 708 giovani delle scuole di ristorazione) e oltre 1200 giornalisti da tutto il mondo. Con i grandi – i Roca Brothers, Andoni Luis Aduriz e compagnia cucinando – a fare da traino, presenza fedele di un congresso di cui si sentono parte attiva. Un evento capace da sempre di indicare traiettorie future, comprendendo al contempo come queste traiettorie, dopo oltre 20 anni, portano verso nuove direzioni. Non c’è più la ricerca e basta, anche se non mancano scoperte sorprendenti, perché quella stagione si è evoluta in altro. L’effetto wow è stato sostituito da un’indagine centrifuga ai quattro angoli del mondo gastronomico. In senso geografico e non solo. Passati i tempi del molecolare spinto, del tecno-emozionale, dell’approdo in Europa della cucina sudamericana, della rivoluzione nordica e della svolta green, i congressi sono sempre più diffusori di istanze centrifughe. Non c’è più la ricerca e basta, anche se non mancano scoperte sorprendenti, perché quella stagione si è evoluta in altro. L’effetto wow è stato sostituito da un’indagine che spinge nei quattro angoli del mondo gastronomico. In senso geografico e non solo.
Con una tappa italiana, con quell’Alessandro Alajmo golden boy della cucina italiana, che ha conquistato il successo così giovane che adesso – a 49 anni – pare un veterano. Per la prima volta sul palco di Madrid, de Le Calandre (Sarmeola Rubano), racconta di un modo di fare cucina semplice eppure sempre sorprendente, dove protagonista assoluto è il prodotto, insieme alla parte invisibile, l’emozione, quella sentita e suscitata nel suo omaggio a un amico scomparso troppo presti, gran musicista e gran torrefattore, Gianni Frasi, con la pasta pummarola e caffè – due simboli partenopei uniti da un errore poi perseguito. Con la pasta cotta in acqua e distillato di caffè e poi condita con pomodoro e parmigiano con polvere di caffè e parmigiano affumicato, e un sottofondo blues. “Cerchiamo la vicinanza con i commensali e un rapporto sincero. Un rapporto intimo con l’arte e la musica, dove la massima è trattare i clienti e il cibo con rispetto”. È Alessandro Alajmo.
Ecco dunque, le nuove traiettorie di questa Madrid Fusión numero 21.
Madrid Fusión 2023. Il ruolo della creatività
Non più orientato esclusivamente alla rivelazione delle conquiste tecniche, Madrid Fusión non smette di parlare di creatività e innovazione. E lo fa sin dal primo appuntamento, quello con Andoni Luis Aduriz (Mugaritz, Gipuzkoa) che per la prima volta inaugura il congresso. Parlando di creatività, che spiega “non è impazzire, è prestare attenzione”. L’osservazione consapevole, dunque, è la base della creatività, alimentata con pazienza, tenacia e perseveranza, nonostante gli errori, inevitabili, che dagli esperimenti portano a risultati “terribili”. Così Aduriz ragiona sui meccanismi che regolano la creatività – novello Bruno Munari – i processi mentali e i passaggi necessari per svilupparla, in una ponencia che è un distillato di teoria e riflessione, in cui elogia la normalità -“in un mondo così cacofonico e sovrastimolato, la mossa più innocente è rivoluzionaria” – apre la “scatola dei trucchi” dove nascono le idee e dove, ma non manca di raccontare i 25 anni del Mugaritz, tutti in direzione ostinata e contraria, con la provocazione come strumento di interazione con i commensali. Un quarto di secolo festeggiato seguendo il filo conduttore della memoria (ma nessun greatest hits, qui!) come concetto infido e il concetto del tiepido in una società estremamente polarizzata. Temi chiave del processo creativo che porta al menu numero 25. A proposito di ragionamenti, merita più di una riflessione quella di Quique Dacosta (Quique Dacosta Restaurante, Denis) che si chiede quale sia il ruolo della bellezza in cucina, se condiziona la percezione dei piatti, o induce i sapori e se i piatti belli sono più buoni.
A dare una zampata potente ci pensa Ángel León. Per una volta ha spostato l’obiettivo della sua ricerca dal mare con suoi paesaggi più misteriosi, per concentrarsi sulla cucina e su quel che resta a fine giornata. In un posto come Aponiente, che lavora 10.000 chili di pesce l’anno, gli scarti ammontavano a quasi 2.500 chili. Un quantitativo enorme da smaltire, ma anche un potenziale da impiegare, nell’ottica del no waste, che nella ricetta di Ángel León significa trovare un impiego a pelle, interiora, occhi, squame. Parrebbe nulla di nuovo se non fosse la coerenza e la portata innovativa del suo lavoro condotto silenziosamente negli ultimi due anni. Occorreva trovare il modo di inserirli nel suo menu, che però era già completo, tranne che per i dessert. Con la complicità del pastry chef David Gil – “un maestro, un genio” – ha lavorato con le pelli dei pesci: branzino, murena, orata e pesce azzurro, fino a sviluppare una tecnica per eliminare completamente il sapore del pesce, con una proteina del latte. Essiccate, cotta in olio e poi farcite con crema, diventano una sorta di cannolo, marinate e cotte nel burro una fetta di gelato al bacon di mare. Dalle squame di pesce nasce una torta che si scioglie in bocca, sorta di “mochi di mare” con latte e cannella, “con una spettacolare consistenza croccante insieme al gelato di soia. Una ricetta meravigliosa che lascerà a bocca aperta”, la ricerca continua, per esempio sulle scaglie di triglia, base di una spugna congelata con bottarga di muggine. Parti di calamaretti puntilla diventano la sfoglia per il “millefoglie di calamari con crema al burro”, che richiama una torta di Puerto de Santa María. Presentata al buio, perché i calamari hanno anche una proprietà luminescente, “una bella qualità dei loro enzimi” riesce a ricreare l’effetto del 2017, quando presentò dei microrganismi subacquei che emettevano un alone luminoso, quasi delle lucciole di mare. Usata per “20.000 lingue sotto i mari”, omaggio a Verne, gelato alla mandorla con la proteina del calamaro luminescente. Gli occhi del pesce, puliti e asciugati, si trasformano in scoppiettanti popcorn di mare, che non sanno di pesce, ma di popcorn. Poi ci sono caramello con collagene di pesce, crostate di granchio di mare e dolci gommosi di alghe invasive, come dessert per la nuova stagione. La lista è lunga, la meraviglia infinita.
Parlando di ricerca ci sono tre nomi sempre in prima linea, e sono quelli di Mateu Casañas, Oriol Castro e Eduard Xatruch, o tre ragazzacci del Disfrutar che anno dopo anno continuano a tirare fuori dal cappello nuove stupefacenti scoperte che dano vita a piatti sempre godibili, divertenti, coerenti. Oltre 800, ordinatamente catalogati in volumi che sono un vero sunto della creatività degli ultimi anni in Spagna. Tornano sul palco di Madrid Fusión con uno dei loro strumenti più amati: Ocoo, il macchinario coreano che consente cotture a temperatura e pressione controllate; impiegato per le uova nere e per molte altre preparazioni. In questa circostanza presentano il risultato degli esperimenti sui cavolfiori e le mele, i loro cambiamenti organolettici a intervalli di ore, giorni e mesi (3 nel caso della mela). Portando gli esperimenti fino ai limiti. Dopo un certo periodo di tempo, la caramellizzazione degli zuccheri cambia colore e struttura, fino a conquistare una testura cremosa, sorprendente. Oltre alle evoluzioni con koji, microonde e amilopectina. Sono al centro di alcuni nuovi piatti del locale di Barcellona.
A proposito di scoperte tecniche, risale a circa 20 anni fa quella che ha consentito a Joan, Josep e Jordi Roca (El Celler de Can Roca, Girona) di mettere nel piatto il sapore della terra – in senso letterale – distillando argilla, granito, calcare, con l’idea di condensare le emozioni che affluiscono in certi contesti, racchiudere il paesaggio, mentre nel tempo, lavorando di concerto con il botanico Evarist March, sono nati oltre 150 prodotti (grazie a fermentazioni, macerazioni e distillazioni) usati a El Celler de Can Roca. Oggi quell’invenzione ormai storica può essere alla portata di tutti, con il progetto Esperit Roca, che completa l’idea di cucina liquida cui El Celler de Can Roca lavora dal 1998.
Dabid Muñoz
Da 2 a 300 senza soluzione di continuità
L’unica regola? Nessuna regola, a partire dalla composizione dei piatti, lo stile, l’elaborazione, la ricchezza. Parlando di ingredienti, per esempio, il numero non conta: si va da 2 a più di 300. Da una parte Pedrito Sánchez (Bagá, Jaén) che accoglie la sfida di realizzare piatti di alta cucina con due soli ingredienti, sfida che in Italia si può dire raccolta e vinta ormai da tempo (basta provare certi piatti di Romito per credere, e non è l’unico). Essenziale, nel numero dei prodotti impiegati spesso di uso quotidiano, come nelle dimensioni del ristorante, tra i più piccoli e affascinanti del mondo. Sua l’ortiguilla (i capelli di Venere), con lardo e oloroso. Less is more, diceva qualcuno. Ma giocando con la complessità consistenze e temperature, aggiunge lui. Dall’altra il ragazzaccio terribile Dabid Muñoz, irrequieto, insaziabile, barocco, che fa un menu degustazione con oltre 300 ingredienti, di cui il 95% spagnoli – “deriva dal fatto che abbiamo viaggiato molto” dice – obbligando i commensali a maratone gastronomiche che paiono non finire mai, nel tempo, come nell’elenco infinito di sapori, consistenze, suggestioni. “Le mie ricette sono una torre di Babele con un mix di molti elementi“. Esuberante come lo è la sua presenza a Madrid, con StreeXo appena riaperto nella nuova sede a pochi passi dalla vecchia, pochi mesi dopo l’inaugurazione di RavioXo e con l’imminente trasferimento di DiverXo. Al grido di “All’avanguardia o morte”, Muñoz “ha la capacità di mescolare le ricette in un menu come Cortázar mescola i capitoli del suo romanzo Rayuela”, ha detto José Carlos Capel, presidente di Madrid Fusión. “Queste ricette sono storie autoconclusive e indipendenti, e possono essere scambiate nel menu condiviso. Un menu è come un’opera lirica in cui è difficile dire quali strumenti vengono suonati in ogni momento”.
Pesce: da quello di mare a quello di acqua dolce
Spagna significa (anche ma non solo) cucina di pesce e grandi prodotti – acciughe e percebes su tutti – ma anche cultura marinara. Quella dei pescatori con le loro tecniche tradizionali, per esempio “l’encesa”, che risale a mille anni fa, quando veniva utilizzata sulle scogliere della Marina Alta di Alicante: si scendeva la scogliera su scale di legno instabili fino al mare, con una luce si attiravano i pesci. Lo racconta Alberto Ferruz (BonAmb) parlando di “cucina ispirata dalla luce”, che rielabora in piatti di pesce con erbe che crescono vicino alle scogliere. Aitor Arregi di Elkano, a Getaria, una delle grandi insegne di pesce di Spagna, vuole accendere i riflettori sul rischio che corre il settore della pesca in Spagna, per questo, con Pablo Vicari (suo socio di Cataria, a Chiclana de la Frontera), hanno portato sul palco i loro pescatori di Getaria e Cadice, perché, spiega “Con la nostra cucina spieghiamo non solo un territorio, ma anche un modo di essere“. Di pesca, rispetto delle stagioni e di sfruttare al massimo quello che offre il mercato, piegando a esso il menu (e non il contrario) hanno parlato anche Diego Murciego (Desde 1911, Madrid) che offre un menu diverso ogni giorno, realizzato in poche ore con quanto offerto dai mercati ittici spagnoli, e Carlos del Portillo (Bistronómika, Madrid , che lavora quotidianamente sulla stagionalità, la provenienza, lai maturazione e i tagli del pesce. A proposito di cucina di mare, c’è anche il galiziano Iván Domínguez (Nado, A Coruña) che illustra le applicazioni dell’acqua di mare – ingrediente esso stesso – capace di modificare consistenze, dare compattezza, forza e sapore, mediante tecniche familiari come “la stagionatura, la dissalatura e la cottura”. Mentre di pesce, tecnica e show racconta la ponencia di Takayoshi Watanabe (Teruzushi, Fukuoka, Japan) che ha creato un personaggio con le sue pose e i gesti teatrali: il suo ristorante è in una prefettura remota. I migliori prodotti i migliori coltelli una tecnica perfetta non sarebbero bastati ad attirare clienti. Potere della comunicazione.
Ma per una volta – ed è una vera rarità in congressi del genere – si parla di alta cucina di fiume. È quella di Rodrigo Castelo (Taberna Ó Balcão, Santarem, un’ora a nord di Lisbona, sulle rive del fiume Tago), chef portoghese che punta tutto sul recupero di prodotti poco considerati, a partire dal pesce di acqua dolce. Ben 17 specie provenienti dal Tago e dai suoi affluenti, quelle trattate al suo Taberna Ó Balcão: marinate, affumicate, stagionate, quasi mai fresche: “il pesce di fiume ha un sapore molto caratteristico che non piace”. Tra questi, ci sono pesci predatori e specie invasive che invita a consumare per ristabilire un equilibrio con le specie indigene e che hanno valori nutrizionali molto interessanti cui lui aggiunge la creatività del grande cuoco: come il pesce gatto (introdotto dall’uomo per la pesca sportiva) che prepara cotto a bassa temperatura, con pilpil e ceci; ci sono poi le sardine di fiume, il barbo la cui ventresca, spiega, ricorda quella del tonno, e poi ancora carpa, anguilla. Un lavoro così focalizzato sui pesci di acqua dolce, è raro, in Europa, anche se in Italia non mancano esempi virtuosi, come quello dei fratelli Serva a La Trota di Rivodutri o di Marco Sacco al Piccolo Lago a Verbania). Konstantin Filippou (Konstantin Filippou, Austria), mixa invece pesci di provenienza diversa, in un menu dedicato dalla doppia anima, per il cuoco con un “doppio cuore”: austriaco e greco, ve ne parleremo successivamente. Nei suoi piatti carpa Amur, trota salmonata, pesce gatto, pesce siluro, luccio, gamberi, sardine, cozze: un mélange unico di sapori mediterranei e austriaci. A sorpresa, poi, anche Dabid Muñoz, nel suo menu labirintico include un pesce di acqua dolce: la trota dei Pirenei, maturata per 45 giorni, in omaggio alla tecnica nipponica di sushi con pesce stagionato (come di mostrato proprio a Madrid Fusión da Koji Kimura nel 2020). Cotta al vapore e servita a circa 20 gradi in una sorta di sushi, la testa usata per una di chupe, tipica zuppa dei Pirenei con arancia, latte e una grattugiata di trota, come fosse una bottarga. Mentre la pancia si unisce a granchi, ovviamente di fiume, e wasabi.
Virgilio Martínez, Pía León e Malena Martínez
Madrid Fusión 2023. Verso i confini del mondo
Latitudini, altitudini, lontananze geografiche o solo gastronomiche. Madrid Fusión 2023 è stato anche questo: l’esaltazione del remoto. Dall’estremo nord di Poul Andrias Ziska, che in estate diventa ancora più estremo, agli oltre 3800 metri di altitudine delle Ande Peruviane di Mill di Virgilio Martínez, Pía León e Malena Martínez, ai boschi della Svezia di Nicolai Tram e del suo Knystaforsen, passando al Ruanda di Dieuveil Malonga di Meza Malonga Lab, a Kigali, e al piccolo principato di Andorra dove Francis Paniego, Jordi Grau e Pol Contreras hanno dato vita a Ibaya: Madrid Fusión ha fatto una panoramica dei ristoranti fuori dalle coordinate più battute, arrivando fino ai più remoti del mondo. Un omaggio a chi ha deciso di uscire dalle traiettorie consuete, magari rimanendo pervicacemente nella propria tera, e costruire il proprio ristorante in territori estremi, difficili da raggiungere. Dove l’ambiente circostante diventa un tutt’uno con l’esperienza gastronomica. E la filosofia di cucina un tutt’uno con l’approccio da naturalista, botanico, antropologo.
L’esempio più evidente è Mil, così strettamente connesso a Mater Iniciativa, centro di raccolta, ricerca e catalogazione dei prodotti indigeni del Perù, progetto che prevede anche la tutela delle comunità locali, la valorizzazione umana e sociale. A Mil, è andato il premio Cocina sin Límites. Il merito va all’impegno per il territorio, la biodivesità e le comunità indigene che nei 5 anni di vita del progetto è sempre cresciuto: “Abbiamo imparato a creare legami e fiducia. Questo compito orizzontale è diverso, perché valutiamo ogni persona come un individuo”, hanno spiegato Virgilio Martínez, Pía León e Malena Martínez. Alimentando un sistema gastronomico che si muove dalle Ande all’Amazzonia, analizzando, catalogando, preservando e infine anche portando nei piatti prodotti, scoperte. Forzando al massimo per carpire le potenzialità di alcune materie prime, come pr il frutto del cacao su cui lavorano da 5 anni per impiegarne ogni parte.
A proposito di aree remote, difficile immaginarne una più isolata delle Isole Faroe, eppure Poul Andrias Ziska c’è riuscito, portando in estate il suo Koks fino in Groenlandia, in un centro abitato da 50 anime, raggiungibile in barca oppure in elicottero (vi ricorda qualcosa?). Il suo mantra è vivere e cucinare l’ambiente circostante, in una cucina montata all’esterno del ristorante, accanto alla sala da pranzo. con prodotti super locali: pesci appena pescati (in senso letterale) alghe, granchi delle nevi artiche, muschio, bacche, erbe, con l’ausilio fondamentale di fermentazioni, processi di maturazione e conserve. Non molto diverso – seppur in un altro habitat – il lavoro di Nicolai Tram (Knystaforsen, Svezia), ristorante isolato nel cuore di una foresta svedese. Che alimenta una dispensa autarchica e una cucina-ecosistema.
Non così distanti, ma di certo decisamente periferici Dieuveil Malonga (Meza Malonga Lab, Kigali, Ruanda) e Francis Paniego (Ibaya Sport Hotels, Soldeu, Andorra). Il primo vogliamo vederlo come il pioniere di una emergente cucina panafricana che siamo certi entrerà nei radar negli anni a venire. Anche grazie al suo progetto sociale Chefs in Africa, con il quale si è impegnato a promuovere i nuovi assi culinari del continente, e che conta già oltre 4.000 chef associati in tutto il continente africano. A Madrid Fusión 2023 porta l’evoluzione delle tecniche di cucina africane dove suggestioni tribali – Masai, Bantu e Zulu – e tecniche contemporanee creano un connubio inedito, splendente. Foriero di grandi sorprese. Più vicina, ma poco nota anche la cucina di Andorra interpretata da Francis Paniego e il suo braccio Jordi Grau. Insieme trasmettono storia, i prodotti e i piatti più tradizionali di Andorra, stretta tra le montagne che la intrappolano, proteggendola al contempo e stimolando un’identità culinaria “grazie a un territorio con ecosistemi propri e dove accadono cose magiche“, ha detto Paniego. “Vogliamo evidenziare l’esplosione di vita che si verifica ad Andorra con il disgelo”, ha aggiunto Grau.