Giacomo Solimene: chi è il sommelier 27enne degli Alajmo a Marrakech
La ristorazione? A sentire la tv sembra che non ci sia niente di peggio per i giovani italiani, rinchiusi fra quattro mura senza un raggio di sole. Poi ci sono storie come quella di Giacomo Solimene, ventisettenne di Padova, che in divisa da sommelier ha trovato la strada verso il successo e anche un senso di avventura.
Nato ai piedi dei Colli Euganei, ad Abano Terme, da una famiglia modesta, mamma insegnante e papà portiere d’albergo, Giacomo ha scoperto il mestiere mentre si diplomava da geometra. “Facevo il cameriere d’estate e poi di sera. Mi è sempre piaciuto stare a contatto con gli altri. Poi sono cresciuto fra i vigneti dei miei nonni, nelle Corti Benedettine piantate a merlot, dove facevo le vendemmie con i calzoni corti. Quindi il bicchiere mi è sembrato un modo di tornare a casa, passando magari per le visite dai produttori”.
“A quei tempi dopo la maturità non c’erano scuole di sala, quindi per migliorarmi mi sono iscritto ai corsi da sommelier e diplomato all’accademia di cucina Dieffe a Padova. Ma io volevo entrare nel mondo dell’alta ristorazione, quindi dopo due anni di catering di alta fascia a Parma, sono passato alla Locanda Locatelli di Londra. Sono tornato per lavorare in un ristorante sui Colli Euganei e poi ho intrapreso un percorso da libero professionista. Per due anni ho organizzato eventi nel settore enogastronomico e viaggi sul mondo del vino con un’agenzia. Nelle vesti di guida ho perlustrato la Francia, dall’Alsazia al Jura, dallo Champagne alla Loira. Il tutto mentre facevo il consulente per le carte dei vini di ristoranti e hotel. Poi è successo che durante un viaggio con un amico a Marrakech, Mauro Meneghetti, direttore del ristorante Sesamo dei fratelli Alajmo, mi ha comunicato che a breve si sarebbe liberato il posto di maître e sommelier. E io dopo una full immersion lunga quattro mesi alle Calandre, sono partito ai primi di gennaio del 2023”.
La location non è una qualsiasi: si tratta infatti del Royal Mansour, hotel di proprietà della famiglia reale marocchina che conta oltre 500 dipendenti per 53 riad, le abitazioni tipiche del paese, i cui arredi sono praticamente tutti fatti a mano. Lo popola una clientela internazionale di altissima fascia, composta da aristocratici e industriali provenienti da tutto il mondo.
“Ed è bellissimo confrontarsi e farsi ambasciatori della cucina e della cultura italiana”, prosegue Giacomo. “Di marocchino ci sono gli ingredienti freschi come pesci e ortaggi e la maggior parte delle brigate, circa venti ragazzi del posto contro sei italiani. Prima di ogni servizio teniamo un briefing per raccontare loro la nostra cultura, cosa sia un caffè o una pizza, la provenienza dei prodotti, in modo che possano trasmettere queste informazioni agli ospiti. E gli arredi sono quelli di un palazzo veneziano a Marrakech”.
“Qui in Marocco cominciano a esserci una ventina di cantine molto interessanti, che producono tramite irrigazione a goccia soprattutto da uve moscato e sauvignon, syrah e cabernet sauvignon, anche se il clima toglie un po’ di freschezza. Ma la carta dei vini da Sesamo è tutta italiana, con tanti blasoni come Masseto e Sassicaia, Roagna e Conterno, oltre a una seconda carta di virgin cocktails analcolici.
È molto facile aprire bottiglie importanti nel ristorante, che si è piazzato al 39mo posto nella classifica dei 50 Best per il Medio Oriente e il Nord Africa, dentro un albergo che è puro lusso oltre le cinque stelle, primo best city hotel in Nord Africa e quinto migliore hotel al mondo. Gli standard sono altissimi, perché è sempre possibile che si presentino mistery guests, ispettori delle guide che vengono a valutare l’albergo. Ma ogni ospite è accolto al ristorante nello stesso modo, come dentro una casa italiana”. La famiglia reale, dal canto suo, risiede a Rabat e dispone di una dimora a Marrakech, ma passa spesso con il suo entourage, mantenendo un riserbo ermetico.
“A ventisette anni in Italia non trovavo più soddisfazioni da dipendente. È vero che questo mondo è in crisi e credo sia giusto così, perché è saturo di titolari che non si muovono correttamente, trovano normale pagare poco e non gratificare in nessun modo, quindi le cose devono venire a galla per dare un giro di ruota e ripartire. Sta a noi giovani gettare il cuore oltre l’ostacolo. Le paure fanno parte di noi, ma occorre cogliere le opportunità che si presentano e compiere esperienze anche all’estero. Perché c’è tanto oltre l’Italia, per quanto meravigliosa. Conoscere altre culture, anche attraverso gli ospiti e i colleghi, è sempre arricchente. La libera professione mi piaceva, ma la proposta è stato un calcio sotto il tavolo. Ho sentito di dover osare e non tirarmi indietro”.
“Qui lavoriamo solo la sera, quindi ho le mattine libere per visitare il paese. Sono determinato a fermarmi per imparare, entrare a fondo nel mondo del lusso e dell’hôtellerie; in Italia invece sto continuando a organizzare eventi, per esempio il progetto Secret Wine Tasting con Giulia Sattin. E nel mio futuro, oltre ai viaggi per il mondo, vedo eventi esclusivi e consulenze. I social in tutto questo sono fondamentali: mi aiutano a far capire il mio percorso, mi tengono sempre aggiornato e sono promotori di novità. Mi piace raccontare le tendenze enogastronomiche, postando articoli o riflessioni, le mie esperienze nel vino e nella ristorazione. Se gli eventi sono un modo di comunicare contenuti, a loro volta hanno bisogno dei social per trasmetterli”.
Trovi qui il profilo Instagram di Giacomo Solimene
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